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Il suo lavoro

Riproponiamo attraverso questo sito i testi che Angela Pascucci scriveva per il manifesto, perché riteniamo che abbiano una diversa longevità rispetto ai classici articoli di giornale; tutti i pezzi che selezioneremo hanno un valore storico e documentaristico, e alcuni sono ad oggi perfettamente attuali, nonostante gli anni trascorsi dalla loro stesura.

Come una delle tante megalopoli cinesi, anche questo sito è un cantiere, un work in progress, sempre in fieri. Un piccolo cantiere di storia contemporanea. Vi pubblicheremo a cadenza quindicinale due o tre interventi di Angela, scelti in base al tema o al periodo in cui furono composti.

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Inoltre, tradurremo in inglese i testi che ci paiono più interessanti dal punto di vista storico, giornalistico e sinologico, in modo da renderli accessibili anche ai lettori non italiani.

Negli ultimi anni della sua vita Angela si era attivata per realizzare un blog, o un sito, che archiviasse tutto il suo lavoro, passato e futuro. La malattia non le ha permesso di andare oltre le prime fasi preliminari; ci proviamo noi, ora, convinti dell’assoluto valore della sua visione.

Il team che lavorerà a questo blog è composto da: Gaia Perini (Coordinatore), Federico Picerni (Ricercatore), Vincenzo Naso (Consulente), Giulia Dakli (web manager).

I suicidi alla Foxconn e gli scioperi alla Honda

Aggiornamento: 11 gen 2019


[di Angela Pascucci, 2010] Un appello a boicottare per un mese, a partire dall’1 giugno, tutti i prodotti Foxconn arriva dalla Sacom di Hong Kong, organizzazione di studenti e professori attiva nella difesa dei diritti dei lavoratori. Se dei giovani operai cinesi di 19 anni trovano il coraggio di togliersi la vita per riaffermare la propria dignità di essere umano e il diritto di non essere sfruttati a sangue, forse potremmo cercare anche noi, in modo assai meno letale, di riconquistare la nostra, di dignità, accogliendo questo invito. Si tratterà, per un mese, di non mettere piede in un negozio di gadget elettronici, di non inseguire gli ultimi iPhones, iPad, iPod e quant’altro la vastità del gigante taiwanese, braccio produttivo dei titani mondiali, espone al nostro desiderio. E quando torneremo a farlo, di ricordare qual è il loro vero costo, perché il prezzo che paghiamo in denaro oggi non rivela mai l’iniquità delle retribuzioni lungo la catena che dal Gungdong porta fino a noi. Dopo di che sarà la coscienza di ciascuno a decidere se e come mettere fine a questa giostra infernale.


La Sacom chiede anche di istituire un giorno del ricordo delle vittime della Foxconn e propone l’8 giugno, lo stesso giorno in cui la Apple lancerà i suoi iPhones di quarta generazione. Sarà bene tenerlo a mente quando, per dovere di cronaca, verranno descritte dai media mondiali le meraviglie del nuovo giocattolo. E’ anche per rispettare questa data che ai dipendenti Foxconn potrebbero essere stati imposti straordinari fino a 100 ore mensili, pagati una miseria. La Apple, nelle linee guida che dovrebbero regolare la condotta dei suoi produttori, chiede che si lavori non più di 60 ore a settimana (ma non passava dalle 40 ore la frontiera della civiltà?) con almeno un giorno di riposo ogni sei. Regole che la Foxconn non osserva, come le stesse indagini Apple hanno rivelato. L’amministratore delegato del gigante taiwanese, Terry Guo, ha respinto indignato l’accusa di “sweatshop” lanciata contro le sue fabbriche. Di certo non si suda, negli asettici reparti dove la temperatura viene mantenuta costantemente bassa per preservare l’integrità delle delicate componenti che daranno vita all’ “immateriale” universo dell’It. Ma cosa significhino le 60 ore regolamentari lo ha raccontato al China Labour Watch un operaio della Foxconn che lavora all’assemblaggio dei computer. “Siamo sottoposti a una pressione tremenda. Ogni fase dura sette secondi, il che richiede di essere molto concentrati e di lavorare incessantemente. Siamo più veloci delle macchine. Alla fine di ogni turno di 10 ore abbiamo assemblato 4000 computer, e tutto questo stando in piedi”.


Per mettere a tacere il clamore dei suicidi la Foxconn ha ora assicurato che aumenterà del 20% i salari dei suoi dipendenti dell’impianto di Shenzhen, salari che mediamente di base si aggirano intorno ai 1000 yuan (poco più di 100 euro al cambio attuale). Con tutta evidenza una somma ridicola, se confrontata con l’enormità del problema posto dai giovani migranti che si ammazzano. Per scoraggiarli, l’ineffabile mister Guo ha preannunciato che i risarcimenti per le famiglie delle vittime saranno molto ridotti. Nessuno pensi di lucrare sulla morte di un figlio deluso e disperato. Il che dà la misura di quanto miserabile sia il metro costi-benefici applicato dal suddetto e quanta poca speranza ci sia che la Foxconn, e non solo essa, cambi.


Un’indicazione di come si possano cambiare le cose viene invece dalle fabbriche cinesi della Honda, paralizzate da uno sciopero che dura ormai da una decina di giorni nell’impianto di Foshan, nel Guangdong, che produce le componenti per tutta la produzione in Cina del gigante giapponese. Il cuore del sistema è stato fermato dagli operai che chiedono aumenti salariali del 24% su un ammontare di base che va dai 1700 ai 2500 yuan (tra i 190 e i 280 euro). Sembrava che i vertici delle compagnia avessero accolto le richieste che il lavoro dovesse riprendere lunedì. Invece quel che è avvenuto è stato un clamoroso scontro, anche fisico, fuori della fabbrica tra i lavoratori e i membri dell’Acftu, il sindacato ufficiale (l’unico ammesso in Cina), spediti per convincere i riottosi a tornare al lavoro anche senza un accordo soddisfacente. Un match consumato fra grida di “Pago le quote di iscrizione, mi dovreste rappresentare e invece mi picchiate?” “Ma perché invece di ascoltare i cinesi date retta ai giapponesi?” e strattonate, spinte e violenze. Mentre da un altoparlante un leader sindacale gridava “La vostra azione ha seriamente danneggiato la produzione e le operazioni della compagnia” e invitava gli operai a licenziarsi, se non volevano tornare a lavorare.

Una perfetta rappresentazione della Cina contemporanea, su cui i vertici di Pechino dovrebbero riflettere, perché ha squarciato i veli dell’ambiguità ideologica che sostiene lo sviluppo del paese, almeno per quanto attiene al suo aspetto di fabbrica del mondo.


A guardare le immagini degli scontri, anche qui, ancora una volta, i protagonisti sono giovani operai. La nuova generazione di migranti dalle campagne, si conferma, è fatta di un’altra pasta, rispetto a quelle precedenti. Figli unici con più aspettative e meno voglia di tornare indietro se le cose vanno male, vengono descritti dagli osservatori del mondo del lavoro come più “laici”, meno gravati dall’esperienza storica della classe operaia tradizionale e dunque meno influenzabili dalla cartapesta ideologica che a parole proclama socialismo e nei fatti li consegna allo sfruttatore di turno. In un editoriale del 31 maggio, riferito alla Foxconn senza citarla, il Quotidiano del popolo, organo ufficiale del Pc cinese, ricordava che il sindacato, il cui mandato è di rappresentare e proteggere i lavoratori, non deve restare in silenzio.


Ma è arrivato il momento che i vertici cinesi smettano di proclamare buoni principi e approvare leggi giuste, permettendo che sistematicamente gli uni e le altre vengano infranti nella realtà. Il gioco machiavellico delle sponde (noi stiamo col popolo, sono gli altri a sbagliare) mostra la corda e i giovani operai dicono che l’imperatore è nudo.


Pubblicato su il manifesto del 2 giugno 2010


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